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Monthly Archives: gennaio 2007

stasera, casa presto. voglio godermi un libro nuovo. da scegliere tra quelli che ho. mi pregusto già il momento. come stappare un vecchio vino. farlo lentamente, annusare il tappo. prendere delicatamente la bottiglia e vuotarla lentamente in un decanter. vedi il rosso che avvolge il vetro, lo riempie lento. prima sembra scuro, poi sente la luce, si ravviva quasi. senti il profumo che si spande. lo lasci lì, a ritrovare il mondo che aveva perso anni fa. lui sente l’aria, tu senti lui. poi lo assaggi, lo bevi mentre mangi, te lo godi appieno. bello no? l’ho visto fare a mio fratello. io sono astemio. lo faccio con i libri.


leggere. niente di meglio, a volte. quando poi leggi qualcosa di nuovo, appena nato, il sapore è ancora diverso. non so spiegarlo. le parole luccicano. paiono cromate.


sgozzare un bambino piccolo è un atto veramente deprecabile. bombardarlo da quattromila metri di altitudine no. il primo è una vittima, il secondo un danno collaterale. idioti.


ho di nuovo il discovery. forse per poco. stasera vado ad una concessionaria a far due chiacchiere. e cambiarla, forse. dico forse perché per me una macchina fa parte del tuo spazio e del tuo tempo, e separarsene non è facile. ci sei andato in giro, in vacanza, ci hai litigato, fatto pace, ascoltato musica, tanta musica, in quello scatolone lì. il problema è che è uno scatolone, appunto. girare con quello è come togliere aria ai bambini di domani. un po’ come quando vedi le vecchie foto di mamme che tengono i bambini in braccio e fumano. ti si drizzano i capelli. allora era normale, oggi è diverso. sei diverso. la chiamano coscienza. io lo chiamo realismo. cercherò di comprarmi un’auto molto, molto ecologica. che mi faccia dire che era giusto cambiare macchina, che mi faccia pensare che ho fatto bene. ma onestamente non mi va. rimpiangerò questo vecchio scatolone che ha contenuto suoni, viaggi, pensieri, respiri e pezzi di storia, mia e di chi piace a me. una storia lunga centosessantottomila e rotti chilometri.


solo in ufficio. sento musica da camera. i soci sono usciti. erano entrambi tranquilli. anche la femmina, stranamente. c’era un’aria così neutra che non distinguevo l’uno dall’altra. eppure son differenti parecchio. devo essere io che sto cambiando. è un periodo così. comunque sia, adesso son qui a cercare ricette altoatesine per la cena di domani. e aspetto la principessa che si liberi da un appuntamento per pranzare insieme. a casa, spero, così se mi riesce mi faccio un pisolino. gli orsi d’inverno vanno in letargo.


bella la riunione preparatoria alla mostra di ieri sera. prima abbiamo selezionato le cose da esporre. ottantacinque pezzi, tra ceramiche, sculture, pitture e collages. poi abbiamo tirato fuori la carta per chi deve preparare l’introduzione al catalogo e chi farà la biografia. articoli su riviste, interviste, cataloghi, carteggi tra mio padre e architetti, pittori, amici suoi. foto, tante foto. anche di famiglia. ci sono anche io da piccolo con mio fratello. me le fece l’architetto famoso, ma io ero malato, forse varicella, ero in poltrona serio. mio fratello giocava col lego, e sembra lapo suo figlio, che gioca oggi col lego esattamente dove fu fotografato lui. identici, due gocce d’acqua, a distanza di quarant’anni. e poi lettere buffe, e colorate, e disegnate strane, con quelle grafie grosse e pulite che usava chi disegnava parecchio e aveva dimestichezza col segno. in una si fa riferimento a qualcosa come ad un cazzo enorme da dare nel culo alle signore in pelliccia. allora guardando tutta ‘sta roba pensavo che negli anni sessanta erano davvero liberi. c’era spazio per costruire, che le megalopoli non si erano inventate. c’era spazio per la fantasia, che fino ad allora non era stata forzata ad esplorare spazi e forme davvero nuovi. c’era spazio per fare, che appena ti eri inventato una cosa nuova, bisognava farla, e farla davvero, che poi avevi da venderla perché la gente poi la comprava. già, c’era un bisogno di nuovo che era diffuso, l’aria stessa ti diceva che avevi bisogno di libertà. e allora la gente si esprimeva e cercava e lavorava volentieri. mi ricordo che mio padre tornava a casa meravigliato che quando lavoravano lui e gli architetti nuovi i tornianti e i pittori facevano volentieri gli straordinari. dicevano che era divertente lavorare con questi uomini nuovi pieni di idee strane che facevano robe che allora sembravano improbabili. e il bello è che poi tutta questa roba improbabile piaceva ai clienti, che ne chiedevano dieci, cento, mille pezzi. e di queste cose improbabili si riempivano casse di legno e cartone piene di paglia che venivano messe nei containers che poi i camion portavano a livorno e venivano messi su navi che andavano in america e in giappone e a hong kong e alla fine succedeva che eri in un ristorante giapponese e su una mensola vedevi una roba strana che voleva essere un vaso per fiori con dentro fiori giapponesi che nessuno aveva mai visto ma ci stava proprio bene. e quel vaso per fiori lo avevano inventato giovani ceramisti che fummavano disegnavano e ridevano la sera dopo cena in una fabbrica toscana coi neon accesi e gli operai curiosi. ecco, ieri mi è sembrato di vivere quei momenti lì. quando c’era spazio. per cercare, inventare, fare. ora mi guardo intorno, e mi sembra che di spazio non ce ne sia più tanto. abbiamo riempito il mondo, e manca un po’ l’aria. peccato.


il lavoro della mostra su mio padre va avanti. stasera riunione col curatore e la nostra amica di famiglia esperta in ceramiche. la cosa si sta allargando a macchia d’olio. stanno nascendo iniziative parallele, itineranti. alcune gallerie sono interessate. anche una di torino. devo mettere i puntini sulle i. è tutto a disposizione, ma niente è in vendita. non voglio essere l’erede. non lo merito neanche. mi accontento di fare il custode, che è già tanto.


ci sono persone che non è necessario vederle spesso. ci sono persone che fanno la vita loro, ma tu la sai, ed è come se facessero la tua. oppure come se tu facessi la loro. ci sono persone che gli vuoi bene senza spiegazioni, in maniera ingiustificata, anche poco intelligente. ci sono persone che è meglio così, che se si stesse più vicini sarebbe un problema, ma va bene lo stesso, rubarsi da lontano. ci sono persone così belle, ma così belle, che ti verrebbe voglia di esser loro. ma tu sei tu. solo che se ci pensi, tu sei fatto di loro. già, tu sei così grazie a quelle persone lì. non so dirlo bene, ma è così.


c’è un sacco di nervosismo in giro. la gente non ce la fa più. eppure basterebbe poco. un sorriso, buona musica, un po’ di pelle da baciare e un po’ di pelo da carezzare.


mica cazzi.